Frontespizio del Tomo I degli atti del processo "Pagliacci" per Lesa Maestà a carico di

cinque "sovversivi" di diversa estrazione sociale, tutti collegabili al "Centro

Insurrezionale di Orvieto", processo iniziato nel 1867 e conclusosi nel 1868 con cinque

condanne per "complicità in cospirazione per insorgere contro il Sovrano e lo Stato",

leggi "Pio IX", l'ultimo Papa-Re, oggi "beatificato" (?!), e lo "Stato della Chiesa".

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Il delitto "politico" e

 

                                   

la nascita delle società "segrete"

 

                                   

nel 1800

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

I delitti "politici"

 

                                   

Cenni storico-introduttivi

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Il sistema dottrinario del crimen Laesae Maiestatis proviene

dall'esperienza romana, fondata sui titoli specifici del "Digesto" e

del "Codice" dedicati alla "protezione" del sovrano, ed è stato

mediato dall'uso fattone a protezione dei rapporti "feudali" ed in

seguito dai giuristi "medievali".

 

Questi ultimi tentarono una "sistemazione" della materia, come è

evidente nel caso di Girolamo Giganti, il quale cerca di ampliare

la visione ulpianea legata alla nozione di "securitas populi

romani" e nel lungo elenco proposto dal giureconsulto Matteo

degli Afflitti, che individua quarantacinque casi di "Lesa Maestà",

tra cui rebellioseditiotumultusconcitatio hominum.

 

 

Frutto della Rivoluzione Francese fu invece l'introduzione in

ambito legislativo, del concetto di "delitto politico", abolendo il

termine crimen Laesae Maiestatis.

 

Veniva così inaugurata una nuova epoca, in cui era superata una 

concezione "casistica" della materia, per approdare ad una

"elaborazione" fondata su basi meramente "logiche", nella

speranza di riuscire conciliare le libertà "individuali" con

l'"autorità" dello Stato.

 

 

Nel 1800 si diffonde poi un'"idea" di Stato che si può riassumere

nelle parole dello storico Max Weber:

 

                                   

 

                                   

"Come tutti gli agglomerati politici che lo hanno

preceduto storicamente, lo Stato consiste in un

rapporto di 'dominio dell'uomo sull'uomo',

fondato sul mezzo della violenza legittima

 

Lo Stato non può dunque esistere, se non a

condizione che gli uomini dominati si

sottomettano all''autorità' che volta per volta

'dominanti' rivendicano…".

 

                                   

 

                                   

Partendo da questa "visione" dello "Stato" come parte "forte", si

può comprende come la "ribellione" ed il "tradimento", proprio

perché si manifestano in un comportamento che nega la

"soggezione" e la "fedeltà", costituiscono la base comune di tutta

la dottrina in tema di Diritto Penale "politico".

 

Infatti nessuna figura di reato di quelle denominate "crimen

Laesae Maiestatis", sfugge ad una diretta o indiretta

riconducibilità all'interno dello schema del "tradimento" o della

"ribellione".

 

 

Se si insinua il dubbio di una effettiva "opposizione", è chiaro

che il passo successivo sia quello di credere che le "fondamenta"

del tradimento siano più vaste, ossia che esse poggino su di una

vera e propria "cospirazione".

 

L'attenzione crescente verso i reati "contro lo Stato", contro la 

"sicurezza" interna ed esterna di questo sistema ormai

"consolidato" nei secoli, portò quindi i giuristi dell'Ottocento a

dover mediare tra l'"incontestabilità" del potere "assoluto" ed

il crescente sentimento "liberale" .

 

 

Le norme relative agli illeciti "politici" vennero riunite

"organicamente" nei Codici "preunitari", risentendo ancora

dell'influenza del "crimenlese", in particolare nella qualificazione "

politica" del reato.

 

La maggior parte di questi "Codici" infatti era una diretta

"filiazione" del Codice "Napoleonico" del 1810 e risentiva quindi

degli influssi del "potere" dell'Imperatore, che portarono ad

un "potenziamento" del delitto di Lesa Maestà.

 

                                   

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                   

Il Codice "Penale" del Regno delle Due Sicilie, promulgato da

Ferdinando I nel 1819, collocava tali illeciti sotto la dizione "Reati

contro lo Stato", dividendoli in "Reati contro la sicurezza

interna" e "Reati contro la sicurezza esterna dello Stato" ed

in "Rivelamento dei reati contro lo Stato".

 

Nello Stato Pontificio, il "Regolamento sui delitti e sulle pene" del

1832 dedicava invece il Titolo II del Libro II ai "Delitti di Lesa

Maestà", senza ulteriori ripartizioni.

 

 

Simile al regolamento "gregoriano" il Codice "Criminale" per gli

Stati Estensi del 1855, invece, disciplinava genericamente nel

Titolo II del Libro II "Delitti di Lesa Maestà e alto tradimento".

 

Si discostavano in parte il "Codice Penale pel Gran Ducato di

Toscana" del 1853, il "Codice Penale per gli Stati di S. M. il Re di

Sardegna" del 1839 e il "Codice Penale per gli Stati di Parma,

Piacenza e Guastalla" del 1820.

 

 

I primi due usavano la formula di "Reati contro la sicurezza interna

ed esterna dello Stato", in particolare il Codice "Toscano" era uno

dei migliori modelli presenti nella Penisola poiché, oltre ad essere

"avanzato" nei contenuti, si fondava sul recupero "sociale" del

reo;

"la sua elevata qualità fece bloccare al confine toscano il processo

di unificazione legislativa penale".

 

Non appare quindi strano che tale Codice fu anche apportatore di

novità nella valutazione dei delitti politici, punendo la 

"cospirazione" non più con la pena "di morte" ma con la 

"reclusione" a venti anni;

 

prevedendo due specie di "cospirazione", una "semplice", l'altra

più "grave", basata su veri e propri "atti di preparazione" del

delitto;

 

non allegando nel "catalogo" dei delitti quello che era previsto

negli altri Codici italiani, cioè il non "rivelare" i delitti politici dei

quali si era venuti a conoscenza.

 

 

Il Codice "Parmense" invece riuniva i delitti politici sotto il Titolo

generico di "Reati contro lo Stato", poiché al contrario dei primi,

era stato contaminato dalla "tradizione" del diritto romano 

mantenendo tale denominazione per evidenziare la differente

gravità "dell'Attentato o cospirazione contro la persona del

Sovrano".

 

Nel 1859, in concomitanza con il movimento di "unificazione"

politica, cominciò poi a sorgere sulle  singole legislazioni

"regionali" la legislazione penale dello Stato Italiano.

 

 

Il Codice Penale contenne parecchi miglioramenti:

 

- fu abolita la pena "capitale" per i reati meramente politici, con la

sola eccezione dell'attentato contro la persona del Re e dei suoi

congiunti;

 

- si ebbe una "gradazione" delle pene, che portò ad una sanzione

minore in caso di cospirazione piuttosto che nel caso di

attentato,

 

- in più,, come nel Codice Toscano, venne abolita l'incriminazione

in caso di omessa denuncia dei reati politici.

 

 

La "razionalizzazione" di questi delitti compiuta dai giuristi

ottocenteschi rimase comunque ad un livello quasi sempre "

classificatorio", non raggiungendo mai quel grado di "certezza" e

"completezza" che si richiedeva ad un tema così importante.

 

Solo con i Regolamenti "Gregoriani" si ebbe un primo vero

"tentativo" di disciplinare questa materia in maniera "compiuta" e

l'impresa in parte riuscì.

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

                                   

 

                                   

"Carboneria" e "Massoneria"

 

                                   

 

                                   

Origini ed evoluzione nel 1800

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Nell'esaminare la materia dei delitti "politici" nell'Ottocento non si

può fare a meno di analizzare quei movimenti "ideologici" e

"culturali", che portarono alla loro "proliferazione" in questo

secolo.

 

 

La "Carboneria" nacque quando già le "Logge" massoniche erano

diffuse dappertutto, anche se si ritiene che abbia avuto origine già

nel 1718 a Napoli, per opera della famiglia Pignatelli.

 

Essa acquistò in breve tempo grande popolarità, poiché si

adattava agli interessi della "borghesia" e allo spirito

d'"indipendenza" che si andava diffondendo.

 

 

Le due associazioni non furono mai "rivali", la "Massoneria" era

più caratteristica delle classi "elevate", assumendo un carattere

più "aristocratico", con prevalenza di "intellettuali", gente di

"pensiero" più che di "azione".

 

La "Carboneria" invece, più "popolare" e "accessibile", passò

rapidamente dalla trattazione d'argomenti "morali" e

dell'eguaglianza "civile" e "sociale" alla trattazione dei concetti di

"Patria" e d'"Indipendenza".

 

 

In un primo momento la "dottrina" dei Carbonari fu interamente

fondata sul "Vangelo", invitando gli uomini all'odio per il

"dispotismo" e all'amore per la "Patria", tanto che persino Papa

Pio VII ne esaltò il "patriottismo".

 

Successivamente, con la "Restaurazione" si iniziò la dura e lunga

repressione di queste "sètte", che vennero proibite in quanto

"manifesti attentati alla legge".

 

 

Esemplare fu la repressione attuata nel 1820 dal Duca di Modena

Francesco IV, che con un decreto aveva reintrodotto le condanne

"di morte" per gli "iscritti" alla "Carboneria" e alle altre

associazioni.

 

Le persecuzioni alle società "segrete" però non le bloccarono, ma

le resero più "caute".

 

 

Infatti, mentre la "Massoneria" si "sgretolò" sotto la repressione,

la "Carboneria" avanzò e si affermò e con essa anche altre

formazioni settarie come i "Guelfi" e gli "Adelfi".

 

Testimonianza di questa "tendenza" fu il "Patto d'Ausonia",

pubblicato dal St. Edme a Parigi nel 1821, poiché esso

rappresentava in pochi articoli il "Programma" della Carboneria,

mettendo in luce le "aspirazioni" dei patrioti e la loro visione di

un'Italia "unita", con un'Amministrazione "centrale" a Roma e

Amministrazioni "locali" nelle Province.

 

 

Dopo la repressione del 1820-21, però, furono uccisi o

imprigionati i "capi" dei movimenti, gli altri maggiori esponenti

del "Liberalismo" italiano si rifugiarono all'estero e vennero

ridotte al "silenzio" e alla "miseria" le loro famiglie.

 

L'Italia sembrava avere acquistato una certa "tranquillità", ma si

trattò di una calma apparente.

 

 

Nel 1831 infatti, sulla spinta delle correnti "liberali" degli altri

Paesi europei, scoppiarono in tutta la Penisola nuovi "moti"

rivoluzionari.

 

Il 4 febbraio ci furono "rivolte" a Bologna e Parma, dopo pochi

giorni aderirono Romagna, Marche e Umbria e si costituì il

"Governo delle Province Unite":

l'8 febbraio venne proclamata solennemente la decadenza del

potere "temporale".

 

 

La "vittoria" dei rivoluzionari italiani fu però breve perché

l'Esercito Austriaco, guidato dal Generale Frimont, lo stesso che

dieci anni prima aveva sconfitto le truppe ribellatesi a Napoli,

iniziò la riconquista dell'Italia Centrale, sconfiggendo il Generale

Zucchi a Rimini.

 

Questi avvenimenti determinarono nel Paese la crisi del

movimento settario, mettendo in luce come ne fossero in realtà

ancora "ristrette" le basi sociali e di come fosse eccessiva la

fiducia riposta nella possibilità di "convincere" i sovrani a

realizzare riforme dell'ordinamento statale.

 

 

In più, l'opera di "propaganda" e "reclutamento" segreto era

limitata a causa delle "censure" sulla stampa, della "delazione" e

dello "spionaggio".

 

Ciò nonostante questa brutta esperienza spinse i patrioti ad

elaborare programmi più "adatti" alla lotta per l'indipendenza.

 

 

Colui che diede il più alto contributo in questa "progettazione" di

nuove rivolte, fu Mazzini.

 

Nel 1831 Giuseppe Mazzini fondò a Marsiglia, fra gli esuli italiani,

la "Giovine Italia".

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                   

"Questa associazione che nei primi anni venne

chiamata Carboneria 'riformata', ben presto

assunse connotati 'massonici' pubblicizzando il

lavoro segreto e facendo segretamente solo

quello che non poteva farsi pubblicamente".

 

                                   

 

                                   

Al centro del Programma "Mazziniano" vi era la "rivoluzione

nazionale" e il superamento dei movimenti "locali" e "settari", egli

concepiva la "liberazione" ed il "rinnovamento" dell'Italia senza

l'aiuto "straniero" e senza "compromessi" con le forze

"conservatrici", ma come risultato di un movimento rivoluzionario

"popolare".

 

Secondo tale pensiero questa "ribellione" doveva partire dai

luoghi in cui si avvertiva di più il peso del "cattivo governo", della

"povertà" e dell'"arretratezza".

 

 

Nel 1843 un gruppo di "Mazziniani" occupò Imola, prima tappa di

un'"insurrezione" della Romagna, ma fu un completo fallimento, i

capi vennero catturati, processati e sette di loro giustiziati.

 

Fallimentare fu anche la "spedizione" nel 1844 dei fratelli Attilio ed

Emilio Bandiera, fondatori della società segreta "Esperia",

costruita sul modello della "Giovine Italia".

 

 

La delusione per questi insuccessi però non frenò l'opera dei

"Liberali".

 

Il primo gennaio del 1848 i Cittadini milanesi proclamarono lo

sciopero del fumo, provocando nei giorni successivi la dura

repressione del Maresciallo austriaco Radetzky, e poco dopo, a

Palermo apparvero sui muri manifesti che invitavano alla "rivolta".

 

 

Ovunque in Italia ed Europa vi furono forme accese di protesta:

"scioperi" di operai, "rivolte" contro la censura della stampa e

"agitazioni" per la libertà di associazione e di riunione.

 

Il 23 gennaio il Re Ferdinando concesse l'amnistia per i detenuti

"politici", e fu costretto a promulgare la "Costituzione".

 

 

Ci fu un effetto "domino".

 

In Toscana il Granduca Leopoldo II concesse la "Costituzione" il

17 febbraio, il 14 marzo fu la volta di Papa Pio IX.

 

 

Nel frattempo scoppiava la Prima Guerra d'"Indipendenza"

dall'Austria.

 

Il 29 aprile il Papa, si distaccò dall'"Alleanza" richiamando le sue

truppe e provocando la ritirata di Ferdinando II e del Granduca di

Toscana.

 

 

A Roma Il 15 novembre fu ucciso il Presidente del Consiglio

Pellegrino Rossi e le "agitazioni" che seguirono indussero il Papa

a rifugiarsi a Gaeta.

 

I "Democratici" organizzarono allora una Assemblea

"Costituente", che nel febbraio del 1849 proclamò la fine del

potere "temporale" e l'istituzione della "Repubblica Romana".

 

 

Il potere fu affidato al "Triumvirato" composto da Giuseppe

Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini.

 

L'"esperienza" repubblicana si concluse il primo luglio con

l'entrata delle Truppe Francesi in città, lo stesso giorno in cui

veniva promulgata la Costituzione.
 

 

Il programma di "ripresa" dell'azione "rivoluzionaria" fu tracciata

da Mazzini e dai membri del "Comitato di Londra" nel 1851.

 

Secondo il "nuovo piano" la spinta "insurrezionale" sarebbe

venuta dalla Lombardia, ma nella fase preparatoria parecchi

"cospiratori" caddero nelle mani della polizia e vennero

condannati a morte.

 

 

Il tentativo fu comunque portato avanti e venne "stroncato" il

6 febbraio del 1853.
 

Una nuova ondata di "critiche" contro i Repubblicani portò ad una

affermazione dell'opposizione "democratica".

 

 

Nel 1857 alcuni ex mazziniani come Giuseppe Garibaldi e

Giuseppe La Farina, formarono la "Società Nazionale", che si

proponeva di svolgere un'azione autonoma all'insegna del motto

 

                                   

 

                                   

"L'Italia e Vittorio Emanuele" 

 

                                   

 

                                   

e di spingere Cavour ed il Re a far propria la causa "unitaria".

 

Di fronte ai "progressi" di questa corrente i dissensi tra Mazziniani

e gruppi di sinistra si attenuarono fino ad arrivare ad un "accordo"

tra Mazzini e Pisacane, riguardante l'impresa "insurrezionale"

meridionale, la "Spedizione di Sapri", ma il tentativo fallì a causa

del mancato sostegno delle organizzazioni politiche "clandestine"

e delle popolazioni "locali".

 


Solo con l'"unificazione"
d'Italia e con le "elezioni"
per il nuovo

"Parlamento Italiano" nel 1861, apparve chiaro come il "Partito

Moderato" era risultato vincente.

 

Rimaneva però ancora aperta la "Questione Romana".

 

                                   

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

                                   

 

                                   

Le società "segrete"

 

                                   

nello Stato Pontificio

 

                                   

 

                                   

Prima dei "Moti" del 1948

 

                                   

 

                                   

 

                                   

È opinione comune degli storici, avvalorata dai documenti relativi

ai primi processi politici, che la straordinaria diffusione delle

società segrete "liberali", manifestatasi nello Stato Pontificio dopo

la "Restaurazione", dovette la sua origine all'occupazione delle

Truppe "Napoletane" e all'influenza della politica di Gioacchino

Murat.

 

Il Re di Napoli aveva infatti intrapreso nel 1813 una campagna

militare che mirava alla unificazione dell'Italia dando, man mano

che avanzava, forme comuni di governo agli Stati occupati.

 

 

Una protesta "carbonara", scoppiata in Abruzzo, diede però

motivo al Governo Napoletano per severe "repressioni" e portò

Murat ad emanare un "Decreto" (4 aprile 1814) con cui si proibiva

la Società dei "Carbonari".

 

Per effetto di queste disposizioni anche le "Vendite" carbonare

operanti nelle Marche sospesero per qualche tempo la loro

attività.

 

 

Queste persecuzioni e il rifiuto di concedere una "Costituzione",

contribuirono a far perdere al Re le simpatie dei "settari".

 

L'Esercito Napoletano però fu il maggior fautore della

organizzazione "settaria" nelle Marche, come riferirono i più

vecchi "Carbonari" nei processi che seguirono, dove affermavano

di essere stati "istigati" ad iscriversi dai soldati di quelle truppe.

 

 

Dopo la sconfitta di Murat, che fu costretto alla ritirata, i "patrioti"

si gettarono nuovamente nelle "sette" e nelle "cospirazioni".

 

A Roma e nelle Province di Seconda Recupera la restaurazione del

potere "temporale del Papa" venne accolta con "delusione", ma si

sperava nell'opera conciliante del Cardinale Consalvi, a cui erano

dovute le riforme attuate nei primi anni di pontificato di Pio VII.

 

 

Purtroppo a questa visione "aperta" e "condiscendente" si

contrappose, mentre il Cardinale si trovava all'estero, la corrente

più "conservatrice" del Governo Pontificio, di cui massimo

esponente fu Mons. Agostino Rivarola.

 

Proprio a lui il Papa delegò il compito di formare un Governo e

riassumere in suo nome la "sovranità" a Roma e negli altri Stati.

 

 

Come prima cosa il Rivarola abolì nei domini della Santa Sede il

Codice di Napoleone, richiamando l'"antica" legislazione civile e

penale vigente all'epoca del cessato Governo Pontificio,

riportando in vita alcune pratiche ormai "superate" come il

"supplizio" della corda.

 

Con il ritorno del Consalvi sembrava che la situazione potesse

migliorare, ma tutte le sue buone "intenzioni" non riuscirono a "

placare" gli animi, "delusi" dal restaurato regime, specialmente

nelle Marche, dove il Delegato Apostolico Mons. Francesco Tiberi

aveva reintrodotto misure "drastiche" e "crudeli", come il bastone

e la frusta ed era arrivato ad infliggere 5 anni di galera per una

semplice bestemmia.

 

 

L'odio verso il rigore della "Restaurazione" spinse il Movimento

Liberale ad operare con maggiore foga, ed ancora più

segretamente.

 

Le Logge "Massoniche" erano infatti diffuse in tutti i

"Dipartimenti" romani, come risulta dagli atti del processo contro

il Conte Cesare Gallo, noto "Carbonaro", Gran Maestro della

"Vendita" di Macerata, dove si fa riferimento a quelle di Ancona,

Macerata, Fermo, Ascoli, Perugia e Cesena.

 

 

Col finire del dominio "napoleonico" però, la "Massoneria" iniziò

una lenta decadenza e cessò con il sopravvenire della

"Restaurazione" seguita all'occupazione "napoletana".

 

Nello stesso periodo, al contrario, la "Carboneria" fu "importata"

nello Stato Pontificio e "propagata" dai Napoletani con la loro

occupazione, tanto che le "Vendite" più antiche risalgono alla fine

del 1813.

 

 

Essa si diffuse "agevolmente", perché trovò un terreno "fertile",

già "contaminato" dalla Massoneria.

 

I "Carbonari" si mischiarono con gli impiegati e con gli stessi

funzionari di Polizia, tanto che iscriversi a questa società segreta

divenne una "necessità" per i più deboli e per chi era privo di

"protezione", e fondamentale per trovare un "lavoro".

 

 

La "Carboneria" iniziò in seguito ad estendere le sue mire verso il

Settentrione, in particolare in Emilia Romagna.

 

Qui si diffuse a causa del "contagio" delle Marche, ma nel 1816,

un'altra "setta" si affermò nel Bolognese, propagandosi al Centro

e al Sud, la "Società dei Guelfi".

 

 

Le due "sette" si influenzarono a tal punto da perdere le rispettive

linee "caratteristiche", tanto da fondersi nell'ottobre del 1817,

fusione decisa con la cosiddetta "Costituzione Latina", nella quale

si prevedeva che tutte le "Vendite" dovevano dipendere da organi

"superiori" denominati "Tribunali", che a loro volta rispondevano

ad una corporazione "suprema" detta "Senato".

 

Gli unici che si opposero al dilagare delle società segrete

patriottiche furono i "Sanfedisti", setta di cui si fa un breve

accenno nei processi marchigiani del 1816-1818, ed il cui scopo

era quello di "proteggere" la religione della Chiesa Cattolica.

 

                                   

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                   

Tra i primi "movimenti patriottici", organizzati dalle "società

segrete" dopo la "Restaurazione", vi fu la "Cospirazione

Maceratese", che sarebbe dovuta scoppiare la notte del 23 giugno

1817.

 

I "Carbonari" la organizzarono approfittando del "malessere"

economico che incombeva sull'Italia Centrale.

 

 

Il movimento fu però scoperto ed i "capi" vennero arrestati e

portati nelle carceri romane.

 

Furono organizzati tre grandi processi, nei quali non fu concessa

però la facoltà di difesa "orale" né la presenza "in dibattimento"

degli imputati, tra gli altri venne condannato a morte il Conte

Cesare Gallo.
 

 

Iniziò poi una dura "repressione" che dal '20 in poi portò a

costanti "vessazioni" nei confronti dei "cospiratori", da parte della

Polizia che li "perquisiva" e "arrestava" senza motivo e dei

Gendarmi Pontifici che li "aggredivano" e "molestavano" per

strada.

 

Nel 1821 il "Legato di Forlì", Cardinale Stanislao Sanseverino, fece

arrestare, come appartenenti a società segrete, oltre cinquanta

Cittadini di Forlì, tra cui il Conte Giuseppe Orselli, capo della

"Vendita" della città, e tutti gli altri "Capi Sezione".  

 

 

Con la morte di Pio VII nel 1823 e l'elezione di Leone XII le

persecuzioni contro i Carbonari ripresero su più vasta scala.

 

Inoltre venne affidato al Cardinale Rivarola, noto "sanfedista", la

Provincia di Ravenna, con facoltà "illimitate" sulle quattro

Legazioni e sulle Delegazioni di Pesaro ed Urbino.

 

 

Ad egli fu dato il compito di "purgare" le Romagne e di portare a

termine i processi "politici".

 

Egli con un'unica sentenza condannò, senza "garanzie"

procedurali, 513 Cittadini "sospettati" di reati politici.

 

 

Sulla scia di questo processo ne venne inaugurato un altro con il

quale si volle colpire il "Liberalismo" marchigiano, intimamente

"legato" a quello romagnolo.

 

La sentenza emanata ad Urbino il marzo 1826 comminava

gravissime pene per "fellonia", con dai 5 ai 25 anni di reclusione

per 37 degli imputati.

 

 

La maggior parte venne rinchiusa nel Carcere di Civitacastellana e

vi restò fino al 1831, anno in cui Gregorio XVI concesse la "Grazia

Generale".

 

Venne poi inviata in Romagna una "Commissione" presieduta da

Filippo Invernizzi, con lo scopo di perseguire gli "autori"

dell'attentato avvenuto a Ravenna contro il Cardinale Rivarola.

 

 

Questa "Commissione"

 

                                   

 

                                   

"arrivò con largo seguito di 'missionari' per

convertire il popolo e con 'esecutori' di giustizia,

tra cui il celebre boia Mastro Titta, per colpire

i 'non convertiti'".

 

                                   

 

                                   

Per reprimere le "sette" fu anche astutamente adottata

dall'Invernizzi la "spontanea" o rinuncia, consistente nella

confessione dell'imputato e nella promessa fatta con giuramento

di non cospirare più, con lo scopo di "svilire" l'istituzione a cui

esso apparteneva e che si basava proprio su di un "giuramento di

fedeltà".

 

 

Sotto Pio VII, nel 1829, venne emanato un nuovo "Decreto" contro

le società "segrete", che prevedeva la pena "di morte" per chi vi

apparteneva e la galera per chi non le denunciava, in più si

celebrò a Roma il processo contro il Gran Maestro della "Vendita"

di Roma, Giuseppe Piccilli, che venne condannato a morte.

 

La "repressione" si fece sempre più intensa, tanto che il Popolo

italiano era ormai "saturo" ed "esausto".

 

 

Nel 1831 scoppiò la rivoluzione, prima con i "Moti Romagnoli" a

cui seguirono quelli di Marche ed Umbria e poi con l'istituzione di

Governi "provvisori" a Pesaro, Urbino, Fermo e Perugia.

 

I moti vennero però soffocati dall'intervento di Austria e Francia e

si chiuse così il periodo di maggiore influenza della "Carboneria"

e riprese piede la "Massoneria".

 

 

Dopo la "Restaurazione" del '31 nello Stato Pontificio vennero

chiuse le università e cacciati i professori "carbonari", ad Ancona

si formò anche una colonna "mobile" per contrastare le forze

reazionarie.

 

Nel 1836 alcuni Marchigiani appartenenti alla "Giovine Italia" e alla

"Carboneria" furono scoperti e processati a Roma, tra di loro vi

erano anche tre frati agostiniani e alcuni professionisti.

 

Questo a dimostrazione dell'eterogeneità della composizione

"settaria".

 

 

In questo clima di "sospetti" e "persecuzioni" nel 1841, in

occasione del viaggio del Papa che si recava a Loreto, furono

addirittura eseguiti arresti "preventivi" per società "segreta" e

Lesa Maestà.

 

I costanti insuccessi e l'ennesimo fallimento dei moti nel 1845

avevano "stancato" però molti patrioti, anche se lo spirito

"rivoluzionario" era ancora forte.

 

 

Salito al potere Pio IX, vi fu una netta inversione di tendenza, egli

sembrò infatti rendersi conto della necessità di "rinnovare" e

seguire un indirizzo più "moderno" e "liberale".

 

Nel luglio del 1847 concesse l'amnistia ai condannati "politici",

riscuotendo così tanto entusiasmo da costringere gli altri Stati a

seguirne l'esempio.

 

 

Tutti questi avvenimenti dimostrano come fosse necessario un

cambiamento non solo nella "Politica" ma anche nella "Giustizia"

e nell'"Amministrazione", soprattutto negli Stati più arretrati e

restii come quello della Chiesa.

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

                                   

 

                                   

Dal 1848 alla "presa" di Roma

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Tanto a Roma che nelle Province si erano costituiti dei Circoli,

chiamati "Casini", formati per la maggior parte dagli appartenenti

alle società "segrete".

 

A Roma, in particolare, ne esistevano 15 di cui 3 erano i più

importanti:- "Circolo Romano", "Circolo Popolare" e "Circolo dei

Commercianti".

 

 

Queste organizzazioni ebbero un ruolo "cruciale" nella diffusione

dello spirito "liberale" in tutto lo Stato e nella successiva

costituzione della "Repubblica Romana".

 

Nel dicembre del 1848 era inoltre sorto a Roma il "Comitato dei

Circoli Italiani", costituito da illustri rappresentanti di

"Massoneria" e "Carboneria", tra cui Filippo De Boni e Goffredo

Mameli.

 

 

Nello stesso periodo, il Pontefice fu costretto da incessanti

richieste a nominare un "Ministero Costituzionale" ed a

promulgare uno "Statuto".

 

Tra i Ministri vi furono nomi importanti fra cui Galletti e Mamiani,

quest'ultimo però si dimise dal suo incarico per "divergenze" di

opinioni con il Papa stesso.

 

 

Si susseguirono poi vari altri personaggi fino ad arrivare alla

nomina di Pellegrino Rossi, di provenienza "carbonara", che

venne però pugnalato nel novembre 1848, proprio quando si

apprestava ad inaugurare il nuovo Parlamento.

 

A causa di questi avvenimenti romani la "contestazione" si diffuse

negli altri Stati italiani dando vita ai famosi "Moti Rivoluzionari del

1848".

 

 

Dopo l'assassinio del Rossi e la fuga del Papa a Gaeta, gli eventi

portarono prima alla formazione della "Costituente Romana" il

19 gennaio e poi il 9 febbraio 1849 alla proclamazione della

"Repubblica Romana", presieduta dal "Triumvirato" formato da

Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini.

 

L'opera legislativa della "Costituente Romana", compiuta in poco

più di tre mesi, fu notevole, ma senza dubbio la "Costituzione", ne

rappresentò il vero capolavoro "giuridico" e "morale".

 

 

Questi "patrioti" riuscirono in poco tempo a riassumere quelle che

erano le "problematiche" del Popolo e a proporne una chiara

"soluzione", sotto forma di una normativa "mirata" ed "efficace".

 

In luglio però i Francesi entrati in Roma e posero la Città sotto

assedio sopprimendo i "Circoli" e la stampa.

 

 

Il Papa, ormai chiuso in una posizione "intransigente" e

"negativa", nominò un suo "Triumvirato" di Cardinali, che non

riuscirono però ad evitare le frequenti "rivolte" e l'eccidio di molti

Francesi da parte del popolo "indignato".

 

Dopo quasi un anno Pio IX rientrò a Roma e lo Stato Pontificio

conobbe di nuovo l'orrore delle persecuzioni.

 

 

Furono colpiti tutti, sia i "moderati" sia i "radicali", ed in

particolare gli uomini della "Repubblica", che furono costretti

all'esilio.

 

I "patrioti" italiani però sentivano sempre più vicina la "soluzione"

alle loro richieste, ed anche se i governi intensificavano i

"controlli" e le "indagini", tra il 1948 e il 1859 vi fu il periodo più

proficuo dell'attività "massonica".

 

 

I moti tentati da Mazzini nel 1853-1854 fallirono però miseramente,

come fallì la "Congiura di Mantova", che portò alla strage del prete

Tazzoli e dei suoi compagni, detti poi i "Martiri di Belfiore", che

dopo il processo vennero "torturati", "bastonati" ed infine

"impiccati" nella spianata di Belfiore.

 

L'idea "unitaria", diffusa prima dalle società "segrete" e poi dai

"Mazziniani", era però dopo lunghi e faticosi anni di propaganda

penetrata in tutti gli strati della popolazione ed era stata fatta

propria anche dalla "Società Nazionale Italiana", composta

principalmente di "Massoni".

 

 

Ripresero quindi le "agitazioni" e si formarono diversi Governi

"provvisori".

 

Ad esempio Perugia si difese strenuamente fino al giorno in cui le

Truppe Pontificie occuparono la Città, dandosi alle più crudeli

barbarie passate alla storia come le "Stragi di Perugia".

 

 

Nel periodo che va dall'Unità d'Italia fino alla "presa" di Roma la

Massoneria fu presente ed attiva, nonostante nel frattempo si

fosse formata una coscienza "nazionale" ed il suo scopo

sembrasse ormai raggiunto.

 

Ma Roma, che per circostanze "storiche", "culturali" e "morali" si

prestava a diventare la "Capitale" del nuovo Stato, doveva ancora

essere riconquistata.

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                   

Iniziava così l'affannosa "Questione Romana", che portò alla

formazione nel 1861 del "Comitato d'Azione", che raccoglieva ex

"Carbonari", "Massoni" e "Mazziniani", e poi dell'"Unione delle

Associazioni Democratiche Italiane", ad opera di Giuseppe

Garibaldi, che avevano come scopo la proclamazione di Roma

Capitale.

 

Fu lo stesso Garibaldi che nel 1862 a Marsala pronunciò la famosa

invocazione

 

                                   

"Roma o morte!"

 

                                   

 

                                   

Nel 1864 Pio IX, anche per reazione a leggi come quelle Siccardi

del 1849-1850 con cui era stato soppresso il "Foro Ecclesiastico",

raccoglieva in una Bolla, il "Sillabo", le proposizioni ritenute

"erronee" dalla Chiesa, procedendo ad

 

                                   

 

                                   

"una condanna globale del mondo moderno

e delle nuove correnti di pensiero"...

 

                                   

 

                                   

La controreazione al "Sillabo" dei "Liberali", soprattutto romani,

fu molto "accesa", come testimoniano gli articoli di quei giorni sul

giornale "La Roma dei Romani", poiché esso era visto come

l'ultimo disperato tentativo di mantenere il potere "temporale".

 

 

Terminata la "Guerra d'Indipendenza" nel 1866, la questione di

Roma si ripresentò con maggiore urgenza.

 

Nel frattempo tra il 1863 e il 1867 le iniziative "massoniche" si

erano intensificate, tra le più significative vi fu quella di Beppe

Dolfi, promotore a Siena di una "insurrezione" nelleProvince

Romane ad opera degli emigrati laziali.

 

 

Ma fu il 1867 a segnare una svolta nel panorama italiano.

 

La sconfitta di Garibaldi a Mentana aveva infatti segnato la fine del

momento eroico della "Rivoluzione Risorgimentale".

 

 

Vivaci polemiche investirono anche l'operato del "Comitato

Nazionale Italiano", colpevole di aver "ingannato" Garibaldi ed il

Governo, tanto che finì per scomparire.

 

Una soluzione "interna" della Questione Romana era quindi

"indispensabile" ed "urgente".

 

 

L'8 dicembre 1869 il Papa convocò un "Concilio Ecumenico" a

Roma per

 

                                   

 

                                   

"riparare ai tanti mali della società"

 

                                   

tra cui

 

                                   

"le 'sètte' inique diffuse in ogni parte"

 

                                   

 

                                   

e come risposta i "Democratici" indissero un "Concilio

Antiecumenico" a Napoli.

 

I due Concili servirono a rendere più evidente la necessità di una

soluzione "definitiva".

 

 

Il 18 agosto 1870 il Frapolli, Gran Maestro della Loggia di Firenze,

presentò alla Camera dei Deputati l'invito a sfruttare le favorevoli

condizioni politiche europee e l'abbandono di Roma da parte delle

Truppe Francesi, per fare finalmente di Roma la "Capitale" dello

Stato Italiano.

 

Il Presidente del Consiglio Lanza, riluttante, temeva possibili

"complicazioni" nella politica "estera".

 

 

Il 3 settembre, giunta la notizia della sconfitta di Sédan, la Sinistra

italiana indirizzò al Presidente un ultimatum che iniziava

 

                                   

 

                                   

"Ai Ministri del Re!

 

La catastrofe oggi annunziata traccia al Governo

il facile adempimento del suo dovere:

l'immediata 'occupazione' di Roma.

 

In nome della Patria, vi scongiuriamo di

pronunziare la parola che essa invoca;

sappia che almeno adesso, rimossi gli ostacoli

alla rivendicazione del suo diritto, non avete

esitato".

 

                                   

 

                                   

L'appello fu firmato da 21 parlamentari di cui 9 "massoni".

 

La richiesta produsse il suo effetto, il 6 settembre "L'Opinione" (il

giornale del Governo) pubblicò infatti la notizia della decisione

del Governo Italiano di entrare a Roma.

 

 

L'11 settembre le Truppe Regie, al comando del Generale

Cadorna, varcarono il confine dello Stato Pontificio e il 20,

vincendo la resistenza degli "Zuavi", occuparono la città,

segnando la fine del potere "temporale" del Papa.

 

Lo stesso giorno il Frapolli annunciava a tutte le Logge

"Massoniche" d'Italia e del mondo, l'immediato trasferimento della

sede della "Massoneria" a Roma.

 

 

Iniziò così l'ultimo ed intenso periodo dell'attività "massonica",

che si intrecciò più volte a fine '800 e all'inizio del 1900 con la

storia e le nuove aspirazioni dello Stato Italiano.

 

"Massoneria" e "Carboneria", ognuna tramite un proprio

programma, erano riuscite ad "imporre" quel cambiamento

"necessario" ed "obbligato" che caratterizza ogni epoca storica, e

furono ripagate degli incessanti sforzi profusi nella lotta per

l'Indipendenza.