Frontespizio degli atti relativi al processo contro il giovane Gervasio Bresciani,

accusato, in base a testimonianze de relato - in altre parole deposizioni "per sentito

dire", ossia di rilevanza probatoria zero - di "omicidio qualificato per ispirito di parte ed

in odio di officio in persona di un gendarme pontificio", giudicato colpevole e

condannato a 15 anni di galera da scontare nel Carcere Pontificio di Paliano, in

Provincia di Frosinone, insieme ad altri "Martiri Pontifici", tra cui Annibale Lucatelli.

 

Questo nel 1861, in un già agonizzante "Stato della Chiesa", sotto Papa "Pio" IX, ex

terziario francescano, fuggitivo all'epoca della "Repubblica Romana", l'ultimo "Papa-

Re" e ultimo ad essersi servito del boia - eppure proclamato "beato" (?!) nel 2000 da

Giovanni Paolo II, quel Karol Józef Wojtyła oggi a sua volta "beato"...

 

Nel 1844 la "Fortezza di Paliano" era stata donata dai Colonna a Papa Gregorio XVI, il

quale, visti i tempi, non trovò di meglio che adattarla ad ennesimo famigerato "Carcere

Pontificio" per prigionieri "politici":

a fine Anni Settanta del secolo scorso lo Stato Italiano, seguendo la tradizione, lo

trasformerà in un carcere di "massima sicurezza".

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Gervasio Bresciani

 

                                   

"Mastro" muratore

Socialista convinto

 "Martire Pontificio"

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Il suo tempo - la sua storia

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Questa ricerca ha avuto come obiettivo l'identificazione dei

principî "ispiratori" della codificazione penale nello Stato

Pontificio del XIX secolo, incentrandosi poi sulla disciplina e sulla

"repressione" dei delitti di Lesa Maestà, in particolare nell'Alto

Lazio.

 

Partendo da un'analisi storica di questo periodo, così ricco di

"sconvolgimenti" e profondi cambiamenti nel tessuto sociale della

società dell'epoca, si è voluto mettere in luce la profonda "crisi"

che sin dal primo '800 ha colpito lo Stato della Chiesa.

 

 

Questo Stato infatti, legato ad un passato glorioso ed "arroccato"

sulle proprie "ideologie", si dimostrò spesso restio alle riforme e

suscitò violente reazioni da parte dei suoi sudditi, i quali, avendo

conosciuto la conquista napoleonica e assaporato la novità, non

volevano più essere soggetti ad un potere così "retrogrado".

 

In questo terreno fertile, fin dai primi anni del secolo, si formarono

le società "segrete", dapprima con la "Massoneria" ed in seguito

con la "Carboneria".

 

 

Queste "sette" si diffusero con rapidità promuovendo gli ideali

"liberali", nel costante tentativo di migliorare le condizioni del

popolo "affamato" e "afflitto" dai propri sovrani.

 

La diffusione di questi ideali e i moti "rivoluzionari" che essi

alimentarono, misero in luce le mancanze dello Stato Pontificio e

le sue "carenze" sia in ambito "amministrativo" che "giudiziario",

in modo particolare nel Diritto Penale, il quale doveva essere

invece il valido supporto della violenta "repressione" nei confronti

degli insorti.

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Preziosissima copia personale di Gervasio Bresciani di "Il Socialismo", uno di quei

brevi scritti di divulgazione "pedagogica" iniziati a stampare a cura della "Repubblica

Romana" già dal 1848, secondo la sua nuova politica "culturale", per illustrare al popolo

in parole semplici la "differenza" tra "Repubblica" e "Monarchia", tra "Socialismo" e

"Capitalismo", in questo particolare opuscolo apprezzabilissima la sua seconda parte,

intitolata "Lezioni Paterne", che è specialmente redatta per spiegarla ai "bambini"!

 

 

Altro perticolare di importanza storica è che la prima parte "Il Socialismo" sia addirittura

a firma di Andrea Costa, futuro primo Deputato socialista d'Italia, il quale nel 1881 fonda

a Rimini il "Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna", poi ribattezzato "Partito

Socialista Rivoluzionario Italiano".

 

Alleato ma anche critico del "Partito Operaio Italiano" di Giuseppe Croce e Costantino

Lazzari e della "Lega Socialista Milanese" di Filippo Turati, Andrea Costa partecipa,

presidente eletto, al "I Congresso socialista" di Genova nel 1892, in cui quasi tutte le

forze socialiste si unificano nel "Partito Socialista dei Lavoratori Italiani", poi dal 1895

"Partito Socialista Italiano".

 

Amico stretto e fratello "massone" di Giovanni Pascoli, pur rimanendo una vita di

spirito "anarchico", per amore della moglie - la rivoluzionaria socialista e giornalista

russa naturalizzata italiana Anna Kulischov, anche lei tra i fondatori e principali

esponenti del "Partito Socialista Italiano" - nel 1879 rinuncerà all'"Anarchismo" politico

attivo e, fra una carcerazione e l'altra, collaborerà a periodici e riviste di carattere

politico e nel 1881 fonderà a Imola il settimanale socialista "Avanti!...", la cui redazione

verrà poi trasferita a Roma nel 1884.

 

                                   

 

La trascrizione completa dell'opuscolo è stampabile e scaricabile qui

cliccando sull'icona

   

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                   

In un "clima" così poco favorevole fu difficile portare avanti un

vero progetto di "riforma", tanto che, dei vari tentativi di

"codificazione" del Diritto Penale, gli unici testi giunti a

compimento furono il "Regolamento Organico e di Procedura

Criminale" ed il "Regolamento sui Delitti e sulle Pene" emanati nel

1832 da Papa Gregorio XVI e rimasti in vigore fino alla fine del

potere "temporale" dei Pontefici.

 

Già dalla scelta di adottare il nome "Regolamenti" piuttosto che

quello di "Codici" era chiaro però il rifiuto verso le esperienze

legislative del periodo rivoluzionario e la sostanziale "avversione"

verso soluzioni normative troppo innovative.

 

 

Ciò nonostante questi testi portarono dei miglioramenti,

stabilendo con più chiarezza la "competenza" dei vari Tribunali,

laici ed ecclesiastici, in relazione ai reati commessi, con l'obiettivo

di una maggiore "certezza" del diritto, nella speranza di avere uno

strumento efficace per il ristabilimento dell'ordine pubblico.

 

Un esempio lampante di come lo scopo principale fosse proprio la

"sicurezza" interna dello Stato viene fornito dalla disciplina dei

delitti "politici".

 

 

Questa dimostrava come in presenza di questi reati,così "temuti",

e ritenuti in grado di minare le fondamenta del potere "temporale"

della Chiesa, la risposta della giustizia pontificia fosse "dura" ed

"immediata".

 

Era prevista, infatti, una "procedura" particolarmente "celere",

anche perché la maggior parte delle volte i Giudici, appartenenti

all'"Alto Clero", infliggevano pene "capitali", giustificandole con

motivazioni poco "esaustive" e basandosi su prove non sempre

"certe" e incontrovertibili.

 

 

Chi si macchiava di un delitto così grave doveva essere punito,

anche se vi era solo un indizio della sua colpevolezza.

 

 

Questa tendenza ad una "violenta" e "costante" repressione dei

delitti di "Lesa Maestà" è emersa anche dall'analisi del "Processo

Pagliacci", i cui imputati vennero puniti duramente, anche se le

prove a loro carico si basavano in parte solo su "dicerie" e

"congetture" di testimoni più o meno "attendibili".

 

 

Ma da questo processo emerge anche un'altra realtà, molto

spesso trascurata dagli storici, ossia l'"attiva" partecipazione delle

Province Romane ed in particolare dell'Alto Lazio nella lotta

contro il potere papale e nella spinta rivoluzionaria, soprattutto

nella seconda metà del 1800.

 

L'atteggiamento "tiepido", quasi "disinteressato", che venne più

volte imputato ai Comuni e cittadine di quelle zone, dovuto anche

alla difficile condizione "umana" e "sociale" di quelle popolazioni

e alle prevalenti necessità della vita quotidiana, venne in parte

smentito dai fatti.

 

 

Fu proprio nelle zone del Viterbese che si cospirò con maggiore

intensità, si organizzarono insurrezioni e si riunirono i patrioti

che, cacciati dalle città, trovarono un rifugio sicuro nelle

campagne.

 

L'apporto della "Provincia" e delle comunità "rurali" fu quindi

rilevante, denunciando ancora una volta il "malessere" che

serpeggiava nel popolo e mettendo in evidenza lo spirito

"anticlericale" e "repubblicano", diffuso soprattutto tra operai e

piccoli artigiani.

 

 

In realtà la voglia di "libertà" contagiò ogni tipo di ceto sociale

però, come dimostra il processo esaminato, in cui vennero

giudicati possidenti terrieri e nobili, i quali, grazie anche ad una

maggiore "cultura" e risorse finanziarie, furono il motore

propulsore delle rivoluzioni ottocentesche.

 

Risulta poi evidente dallo stesso processo come fossero intensi i

rapporti "epistolari" tra i "cospiratori" delle Province e i loro

compagni delle Città, in particolare con il "Comitato Romano".

 

                                   

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

 

   

 

                                   

 

 

Il frontespizio degli atti relativi al processo contro Gervasio Bresciani

   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

 

   

 

                                   

 

 

La "Tabella di condanna" emanata dal "Tribunale della Sacra

Consulta" nei confronti di Gervasio Bresciani

   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Sono Vittoria Panunzi e questa mia ricerca presso l'Archivio di

Stato di Roma sulla "repressione" dei reati politici nello Stato

Pontificio dopo il 1848, in particolare l'Alto Lazio, è stata stimolata

da memorie familiari legate a quel periodo storico e a quel

territorio.

 

Mi ha portato ad esaminare altri processi "politici", tra cui quello

di un mio avo, Gervasio Bresciani, originario di Bracciano,

bisnonno di mio padre Bruno Panunzi e dei suoi cugini, miei zii

paterni Pietro Barlesi e Luciano Russo.

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

 

   

 

                                   

 

                                   

 

 

   

 

                                   

 

 

La "Supplica di Grazia" per Gervasio Bresciani come risulta

regolarmente registrata l'8 maggio 1863 ne "L'Archivio 'Riservato’ del

Ministero di Grazia e Giustizia dello Stato Pontificio (1848-1868)", oggi

conservato a cura del nuovo Stato Vaticano

   

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                   

Accusato in base a testimonianze de relato, di "omicidio

qualificato per ispirito di parte ed in odio di officio in persona di

un gendarme pontificio", [l'allora appena ventitreenne! - NdR]

Gervasio Bresciani ver condannato a 15 anni di galera per atti

sovversivi contro lo Stato della Chiesa.

 

Insieme ad altri "Martiri Pontifici", tra cui Annibale Lucatelli, verrà

recluso nel Carcere di Paliano, Frosinone, dove rimarrà fino a che

"grazia" non verrà concessa, per interessamento in sua difesa 

proprio da parte di un prelato di chiare simpatie "liberali", il

concittadino Monsignor Girolamo Tamburri, padre spirituale della

sua religiosissima consorte Giuditta Cesetti.

 

 

Dalla lettura degli incartamenti è stato possibile rafforzare la tesi

secondo cui gli "accusati" di un delitto "politico" venivano

condannati dopo procedimenti spesso troppo "sommari", in cui

all'"imputato" era "preclusa" la possibilità di approntare una

difesa "adeguata".

 

Grazie al rinvenimento della prima edizione del libro "Martiri

Pontifici" di Annibale Lucatelli, di proprietà appunto di Gervasio

Bresciani, mi è stato possibile avvalorare inoltre la tesi secondo la

quale tra i "rivoluzionari" laziali vi fosse un costante e "forte"

legame, che nasceva anche dalla comune "esperienza" della

detenzione nelle carceri pontificie.

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

 

   

 

                                   

 

 

Dedica a Gervasio Bresciani sul libro "Martiri Pontifici" fatta di suo

pugno dall'autore Annibale Lucatelli, ex compagno di galera, entrambi

prigionieri "politici" dello Stato della Chiesa e Pio IX, ultimo disperato

e crudele Papa-Re, oggi addirittura vergognosamente "beatificato" (!)

   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Il Lucatelli, infatti, dedica il suo libro

 

                                   

 

                                   

"Al caro amico

e compagno di sventura

 

Gervasio Bresciani

 

questi ricordi storici

dei nostri fratelli martiri

 

 

Roma 6 giugno 1894" 

 

                                   

 

                                   

il quale era stato recluso con lui nel carcere di Paliano.

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Busti in gesso di Giuditta Cesetti, marchigiana DOC, con il marito Gervasio Bresciani,

famiglia originaria di Mantova (originali restaurati della seconda metà dell'Ottocento)

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Circa la detenzione i racconti tramandati nella mia famiglia

esaltano inoltre la grande "dignità", il "coraggio" e la

"determinatezza" della religiosissima moglie di Gervasio, Giuditta,

che più volte e da sola intraprese il lungo e pericoloso viaggio da

Bracciano a Paliano, per portare "conforto" al marito accusato,

condannato e carcerato ingiustamente.

 

Dei cinque giovani figli prendeva con sé solo il più piccolo,

"Peppino", Giuseppe (nonno materno di Pietro Barlesi e di

Luciano Russo), il quale, non potendo toccare o abbracciare il

padre, ma soltanto intravederlo attraverso una "finestrella" a

"doppie" grate distanziate da enormi muri, domanderà:

 

                                   

 

                                   

"perchè 'Tata' sta 'n gabbia come l'ucelletto?"...

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

 

   

 

                                   

 

 

Due oggetti in osso intagliati da Gervasio Bresciani durante la lunga

detenzione nel carcere politico di Paliano

   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Nel periodo trascorso in carcere Bresciani aveva anche

pazientemente intagliato dei frammenti di osso animale,

incidendoci sopra simboli ["socialisti" e] "massonici" come il

pugno chiuso [e la fiaccola della libertà - NdR] e le iniziali del suo

nome colorate con il rosso del proprio sangue.
 

Tutto ciò a riprova di come spesso le dure condizioni di vita del

carcere non intaccassero lo "spirito" dei rivoluzionari e la "fede"

nei propri ideali.

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                 

 

                                   

 

                                   

A Italia unificata, il "Mastro" Muratore Gervasio Bresciani ed i

suoi "compagni" operai socialisti costituiranno nel 1878 la

"Società Operaia di Mutuo Soccorso di Bracciano", eletto primo

Vice Presidente, Socio portabandiera il primogenito Domenico

Bresciani (bisnonno materno di Vittoria, appena ragazzo e già

"apprendista muratore") e Cappellano proprio lui, il "liberale

progressista" Monsignor Girolamo Tamburri della famiglia

braccianese dei Cini!

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

"Fotografia della Società Operaia di Bracciano fatta nell'estate 1878 presso il Convento

dei Cappuccini, il più piccolo dei Soci è Domenico Bresciani, a destra della Bandiera,

dell'età di anni 9 - a quel tempo era Presidente Di Grisostomo Sebastiano, Vice

Presidente Bresciani Gervasio."

 

I membri della "Società Operaia di Mutuo Soccorso di Bracciano" nel giorno della sua

Costituzione, in quel lontano 1878 (la Società Operaia verrà poi soppressa dal Fascismo

oltre mezzo secolo più tardi, nel 1933).

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Gervasio Bresciani, uomo "laborioso", "onesto", "silenzioso" e

"schietto", nonostante una costituzione più che robusta, non si

riprenderà mai né "fisicamente" né "emotivamente" da quei

durissimi anni di galera.

 

Morirà ancora troppo giovane di infarto cardiaco per lungo e

continuato stress "fisico" e "psichico", dovuto allo stato di totale

"permanente isolamento" , la "malnutrizione" e le pessime

"condizioni sanitarie" patiti per anni, lasciando in profonda

tragedia una intera famiglia, la moglie vedova e cinque figli orfani.

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

 

   

 

                                   

 

                                   

 

 

   

 

                                   

 

 

"Gervasio Bresciani, [...] Capo Mastro muratore", uomo libero,

testimone nell'atto pubblico del 2 ottobre 1870 ufficializzante i risultati

delle votazioni della Città e del Popolo di Bracciano nel Suffragio

Universale per l'Unione al Regno d'Italia.

 

(Il testo completo anche riportato in "Bracciano Negli Occhi Della

Memoria" della scomparsa cara amica e collaboratrice Angela Carlino

Bandinelli)

   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

Alla fine, però, uomo "libero", "patriota" testimone del suo grande

"sogno" politico - avveratosi.

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

 

                                   

Albero genealogico di questo ramo della grande Famiglia "Bresciani"

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

"Pretacci 'nfami

 

                                   

e papa pecorone!"

 

                                   

 

                                   

 

 

"La Tosca", Luigi Magni, 1973