Purtroppo peṛ dietro le quinte

 

                                   

   accade l'"impensabile"...

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

                                   

 

 

"Coś l'Italia ha lasciato

annegare i miei bambini

 

 

'Ci hanno abbandonati credendo che nessuno

avrebbe potuto rivelare la vera storia'

 

'Ho perso due figli, un dolore immenso'

 

'La Germania mi ha permesso di rinascere e tornare

a fare il chirurgo'

 

Mohanad Jammo è l'uomo che nel 2013 lancị

l'allarme dal peschereccio dei profughi, senza

ottenere soccorso dalla Guardia Costiera Italiana e

da Malta:

 

'Che shock risentire quelle telefonate'"

 

 

di Fabrizio Gatti

Repubblica - 12 maggio 2017

 

 

 

Il dottor Mohanad Jammo non risponde al

telefonino.

 

Subito dopo manda un selfie su WhatsApp in cui

appare in camice verde, mascherina su naso e

bocca, la cuffia da chirurgo in testa.

 

E il messaggio:

 

"Mi scusi, sto per entrare in sala operatoria".

 

 

La sua voce, nel videoracconto "Il naufragio dei

bambini" pubblicato da L'Espresso e Repubblica, ha

fatto il giro del mondo:

 

"La barca sta andando giù, ti giuro, c'è circa mezzo

metro d'acqua nella parte bassa.

 

Stiamo morendo, per favore..."

 

grida al telefono satellitare il dottor Jammo dal

peschereccio su cui lui, sua moglie, i loro tre

bambini e altri 480 profughi siriani stanno

affondando.

 

E l'Ufficiale nella Sala Operativa della Guardia

Costiera Italiana, impassibile:

 

"Vai, vai, chiama Malta.

 

Loro sono ĺ, sono vicini."

 

 

Ma non è vero.

 

La nave più vicina è un pattugliatore militare italiano.

 

Si chiama Libra, è a poche miglia, meno

di un'ora e mezzo di navigazione.

 

 

Malta è a 118 miglia.

 

Lampedusa a 61.

 

 

Il mare quasi calmo.

 

È il pomeriggio dell'11 ottobre 2013.

 

 

Il peschereccio si rovescia dopo cinque ore di

telefonate e di inutile speranza, con la Libra

all'orizzonte in attesa di ordini.

 

Duecentosessantotto morti, sessanta bambini

annegati tra i quali Mohamad, 6 anni, e il fratellino

Nahel, 9 mesi, due dei tre figli di Mohanad Jammo.

 

 

Un disastro che ci ricorda quanto sia pericolosa la

mancanza di collaborazione tra Governi europei,

Comandi Militari e Autorità di Soccorso

nell'affrontare la tragedia del nostro tempo.

 

 

"Penso che ci abbiano lasciati affondare e che

credessero che coś poi nessuno avrebbe raccontato

la storia.

 

Non mi so dare altre spiegazioni."

 

Dice al telefono Mohanad Jammo, 44 anni, non

appena esce dalla sala operatoria dell'ospedale dove

oggi lavora.

 

 

Ad Aleppo dirigeva l'Unità di Terapia Intensiva e il

servizio di anestesia e antirigetto del team per i

trapianti.

 

Ora vive in Germania, la patria che l'ha accolto con la

moglie e l'unica figlia sopravvissuta, gli ha

insegnato il Tedesco e gli ha dato i mezzi perché

tornasse a fare bene quello che sa fare.

 

 

Ha visto il video, ha risentito la sua voce?

 

"Ś, ho visto il film.

 

Ma mi lasci dire, anche se sapevo che c'era stata

qualche negligenza nei soccorsi, mi ha scioccato.

 

Non immaginavo che qualcuno potesse sostenere di

voler salvare centinaia di persone con la sua sola

decisione, semplicemente lasciandole morire."

 

 

Nelle sue chiamate lei ripete più volte di essere un

medico.

 

Cosa si aspettava di ottenere?

 

"Credibilità.

 

Continuavo a dichiarare che sono un medico,

sperando di ottenere credibilità perché sentivo che il

destinatario delle mie chiamate non prestava molta

attenzione a quello che stavo dicendo."

 

 

Sono molti i medici a bordo di quel peschereccio.

 

Partono alle dieci della sera prima da Zuwara in

Libia.

 

 

E vengono presi a mitragliate nella notte da miliziani

libici che, su una motovedetta fresca di fabbrica,

vogliono fermare il barcone per rapinare o rapire

alcuni passeggeri.

 

I proiettili sparati sotto la linea di galleggiamento

aprono i buchi nello scafo da cui comincia a entrare

l'acqua.

 

Due bambini sono gravemente feriti.

 

 

È la prima ondata di massa di profughi, le cui case

sono finite in mezzo ai combattimenti tra i ribelli e

l'Esercito di Damasco.

 

Se ne vanno insegnanti, professori universitari, la

borghesia di Aleppo.

 

 

La Svezia ha appena annunciato che ai richiedenti

asilo siriani sarà dato un permesso di soggiorno

permanente.

 

Mohanad Jammo, che allora ha 40 anni e i suoi amici

e colleghi Mazen Dahhan, 36, neurochirurgo, e

Ayman Mustafa, 38, chirurgo, si informano.

 

 

E scoprono che peṛ per arrivare in Svezia, coś

come in Germania o in Italia, non esistono vie legali.

 

C'è soltanto la rete dei trafficanti libici.

 

 

Loro sono già tutti in Libia con le famiglie perché,

dopo i primi due anni di guerra ad Aleppo,

rispondono all'invito della comunità medica libica

che vuole riaprire gli ospedali.

 

È un periodo di pace apparente.

 

E infatti la guerra riesplode anche in Libia.

 

I nuovi integralisti infastidiscono le loro mogli.

 

 

Un capobanda locale vede la famiglia Jammo e

pretende che, per il suo primogenito, Mohanad gli

prometta in sposa la figlia di cinque anni.

 

La piccola è bionda, la guardano tutti.

 

Non resta che partire.

 

 

Il 3 ottobre leggono su Internet che un barcone è

affondato davanti a Lampedusa e ci sono centinaia

di morti.

 

La paura fa cambiare idea.

 

Ma arrivano notizie di combattimenti sempre più

vicini.

 

Le famiglie dei medici passano le giornate barricate

in casa.

 

 

E l'amico Ayman Mustafa una mattina in ospedale fa

capire che non c'è altra soluzione:

 

"Qual è la percentuale di rischio della traversata?"

chiede a un certo punto.

 

La calcolano:

366 morti a Lampedusa, su trentamila persone

sbarcate in Italia dall'inizio dell'anno.

 

L'1,2 per cento.

 

"Siamo chirurghi", concludono subito dopo:

"E in chirurgia un margine di rischio dell'1,2 per

cento è praticamente nullo".
 

 


Vendono le loro cose.

 

Pagano di più per essere imbarcati su un

peschereccio sicuro.

 

Il pomeriggio prima di partire i trafficanti li

rinchiudono dentro una casa in costruzione.

 

Un solo rubinetto e forse un buco da qualche parte

per centinaia di persone.

 

 

Due giorni senza mangiare e senza poter nemmeno

far piṕ.

 

Mohanad Jammo ha comunque pensato a tutto.

 

 

Anche al biberon e al latte in polvere per il piccolo

Nahel.

 

In un saccone di cellophane ha messo i giubbotti di

salvataggio che ha comprato per tutta la famiglia.

 

 

Ma nella notte s'addormentano sfiniti e glieli rubano.

 

La scatola di latte in polvere gliela sequestrano

all'imbarco:

"Non vi serve, tanto tra poche ore sarete in Italia", gli

dice un libico.

 

 

Come ha spiegato a sua figlia quello che è

successo?

 

"Chiedo scusa, ma non voglio parlare della mia

famiglia.

 

Hanno fin troppi ricordi e troppo dolore."

 

 

Come vi trovate ora?

 

"Qui in Germania ci troviamo bene.

 

Ho cominciato a studiare Tedesco fin dal mio arrivo a

fine 2013.

 

Ho poi superato un esame e nel novembre 2014 sono

tornato a fare il mio lavoro di medico.

 

L'Autorità tedesca ha riconosciuto i titoli di studio

che avevo in Siria."

 

 

Cosa le è rimasto dentro di quel viaggio?

 

"Senta, io sono scappato dalla guerra perché non

sono un fighter, un combattente.

 

Io non posso combattere contro nessuno.

 

Un essere umano non è un nemico.

 

 

No, io sono un medico.

 

Lavoro nel mio campo, conosco a fondo la mia

specializzazione e questo è tutto cị che posso fare.

 

Ma vivere nel mezzo dei combattimenti, no, non

posso.

 

Non c'è nulla che possa valere la pena tanto da

lasciare le nostre famiglie per andare in guerra."

 

 

Salirebbe a bordo di un barcone se si trovasse oggi

dall'altra parte del Mediterraneo?

 

"La mia meta era trovare una vita migliore per i miei

bambini.

 

Ora, nonostante quello che è successo, la penso allo

stesso modo e prenderei le stesse decisioni.

 

 

Non cambieṛ i miei principi e non daṛ mai il mio

sostegno a nessuna parte in nessuna guerra.

 

Non credo nella guerra."

 

 

Il dottor Dahhan ha perso nel naufragio la moglie e i

tre bambini di 9, 4 e 1 anno.

 

Il dottor Mustafa la moglie e la figlia di 3 anni.

 

È ancora in contatto con loro?

 

"Mazen e Ayman sono amici che erano con me sulla

barca.

 

Siamo in contatto e so che anche loro stanno

lavorando duro per riavere la vita che meritano."

 

 

In tutta Europa molti pensano che stiano arrivando

troppi profughi.

 

"Mi spiace, ma non credo in queste definizioni, coś

come non credo nei confini.

 

Chi dà a lei il diritto di vivere e lavorare qui e di

respingermi?

 

 

Chi pensa che i problemi nelle altre parti del mondo

siano isolati da quello che succede qui si sbaglia.

 

Coś come credo che i Governi di molte Nazioni

europee abbiano un ruolo enorme, negativo o

positivo, in cị che sta succedendo là."

 

 

Il dottor Jammo torna al suo lavoro.

 

I suoi piccoli Nahel e Mohamad sono rimasti per

sempre a 61 miglia a Sud di Lampedusa.

 

Come quasi tutti gli altri sessanta bambini annegati,

mai più ritrovati.

 

 

E come Mabruk (significa "augurio").

 

È nato pochi minuti prima delle 17,07, l'ora del

ribaltamento.

 

 

Il terrore di quei momenti ha provocato il parto.

 

Quando sentono le grida della madre, la pediatra Ola

Mouaffek Shihab Eddin, 32 anni, e la ginecologa

Naya Raslan, più o meno la stessa età, lasciano le

loro famiglie e scendono sotto coperta per far

nascere Mabruk.

 

 

Sanno come finirà, ma non si tirano indietro.

 

Annegheranno anche loro.

 

 

Due gesti di eroismo in un mare pieno di vigliacchi.