"Il grande massacro:
il film evento
'Un unico destino':
esce il
lungometraggio esclusivo dell'Espresso e
Repubblica che rivela le verità
nascoste sulla strage
nel Mediterraneo di quattro anni fa"
di Fabrizio Gatti
L'Espresso
- 9 ottobre 2017
Non è facile puntare la cinepresa sul
più grande
massacro di civili di cui è
formalmente accusata la
nostra
Marina Militare.
Nessuna Procura italiana o maltese o
europea
ha mai
ascoltato i testimoni, nemmeno quelli principali.
Nessuna.
Quindi non ci sono carte giudiziarie
da cercare,
verbali da leggere, investigatori da intervistare.
Abbiamo dovuto fare da soli.
"Un unico
destino", il film prodotto
da "L'Espresso",
"Repubblica" e "Sky" con "42° Parallelo" per "Gedi -
Divisione
digitale", è prima di tutto un dovere contro
l'indifferenza.
Ma non solo.
Il film è anche un
viaggio nelle pieghe più nascoste
dell'anima di tre papà:
quei luoghi privati raramente raggiungibili dove si
inseguono la tenerezza di un
genitore per i propri
figli, l'amore per le proprie mogli ma anche i
demoni
indomabili dei sensi di colpa.
Perché i piccoli
protagonisti della storia, i loro
bambini, appartengono oggi al Mediterraneo.
Li hanno portati
ĺ i loro padri, per liberarli dalle
immagini oscene della guerra.
Era l'unica via
percorribile lungo la rotta tra il terrore
e l'Europa, tra la Libia e la
salvezza.
E ĺ sono rimasti,
dispersi in mare per sempre.
Il titolo completo è
"Un unico destino
- Tre padri e
il
naufragio che ha cambiato
la
nostra
storia".
Il progetto
coinvolge le testate del gruppo, "Sky" e
"42° Parallelo", che ha
realizzato materialmente il
film.
"Abbiamo deciso di
investire sui video e
sui
film",
spiega Massimo Russo, direttore della Divisione
digitale di 'Gedi', "per permettere al nostro modo
di
fare giornalismo e alle nostre inchieste di
raggiungere un pubblico nuovo, giovane e
internazionale."
La caratteristica
che unisce le diverse produzioni
come "Un unico destino" è ben definita:
sono storie che non devono essere raccontate.
"Andiamo a mettere il
dito dove solitamente i media
si fermano", dice Mauro Parissone,
direttore
editoriale di "42° Parallelo", la società specializzata
nei
film "non fiction":
"Approfondiamo dove
non c'è interesse ad andare
oltre.
Dove vince la
superficialità, il galleggiamento.
Affrontiamo temi
centrali senza scorciatoie,
raccontando quello che non deve essere
raccontato.
Perché non si pụ,
perché è politicamente scorretto,
perché nessuno ha voglia di sobbarcarsi rogne e di
lavorare coś tanto.
Nell'era della
post-verità, proviamo a fare cị che
nessuno osa più fare:
ripartire dai
fatti, raccontare storie che lasciano il
segno e che aprono una
discussione nella società in
Rete.
'Un unico destino' è
il frutto di una profonda
innovazione di processo, in cui il linguaggio
diventa
anche contenuto".
Mazen Dahhan, 40
anni, fa il medico in un paese
della Svezia.
Ayman Mostafa, 42
anni, fa il chirurgo
nel più grande
ospedale di Malta.
Mohanad Jammo, 44
anni, fa l'anestesista
in una
cittadina della Germania.
Sono loro i
protagonisti del film.
Ogni giorno nel
loro lavoro curano decine di
persone.
Sanno bene cosa
significa soccorrere e salvare il
prossimo.
E ogni giorno si
svegliano nella nuova vita con il
dolore più straziante per un uomo.
È il loro unico,
identico segreto:
dentro la loro anima,
si sentono responsabili della
morte dei propri figli.
Mazen, Ayman, Mohanad sono nati ad Aleppo, in
Siria, e ĺ sono cresciuti,
hanno studiato, si sono
sposati e hanno visto nascere i
propri bambini.
Fino ai giorni
della guerra, che ha sfregiato la loro
città, la Firenze d'Oriente.
Mazen, Ayman e
Mohanad scappano con le loro
famiglie in Libia, l'unico Paese che offre un lavoro in
ospedale.
Ma la guerra li
insegue anche ĺ.
E in Libia, a
Tobruk, a Misurata, a Tripoli, scoprono
di non avere più vie di fuga.
È per questo che
decidono di attraversare il
Mediterraneo e di chiedere aiuto all'Europa.
Ed è su quello
stesso peschereccio che l'11 ottobre
2013, esattamente quattro anni fa, i destini di Mazen,
Ayman, Mohanad, dei loro bambini, delle loro mogli
si intrecciano.
Abbiamo già
scritto di questo naufragio che ha
spinto il Governo italiano ad avviare l'operazione di
salvataggio 'Mare nostrum'.
E continueremo a
scriverne finché non verrà
raccontato un finale rispettoso delle 268 persone
annegate, tra le quali almeno 60 bambini.
Ormai sappiamo che non sono
morti per colpa dei
loro papà.
Per questo ci ha
colpito la temerarietà del Tenente di
Vascello Catia Pellegrino, 41 anni, anche lei
coprotagonista del film, in quegli stessi mesi
comandante di
Nave Libra e volto immagine della
Marina Militare.
Lei e il suo
pattugliatore il pomeriggio dell'11 ottobre
sono i più vicini al
peschereccio che sta affondando.
E proprio per le
sue missioni di soccorso, alla vigilia
del secondo anniversario del naufragio, Catia
Pellegrino viene premiata dal Quirinale con il titolo
di
"Ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica
Italiana".
Alla fine della
cerimonia, subito dopo aver stretto la
mano al capo dello Stato, Sergio Mattarella, l'allora
comandante di nave Libra risponde in una intervista
tv che la Marina Militare
"ha lavorato
incessantemente per quattordici mesi
nel soccorso ai migranti, ma
soprattutto la Marina
Militare Italiana lo fa da
sempre:
contrariamente
a quanto molti sanno, lo fa veramente
da tanti anni".
Poi tra le operazioni
da ricordare, ne cita una sola:
"Il naufragio
dell'11 ottobre.
Abbiamo salvato
più di duecento persone.
Molte hanno perso
la vita.
Ma è stata una
prova non solo di solidarietà:
anche di professionalità e grande
coraggio".
Lavorando alle riprese abbiamo scoperto che
non è
andata coś.
Da quattro anni
alcuni Ufficiali della Marina Militare
nascondono il segreto:
Nave Libra
e i Comandanti in Capo della Centrale
Operativa di Roma della Squadra
Navale il
pomeriggio dell'11 ottobre si sono clamorosamente
sottratti al
loro dovere di soccorso.
La loro fuga viene
smascherata nel film da un pilota
militare maltese che abbiamo rintracciato:
il Maggiore George Abela, comandante dell'aereo
ricognitore inviato dal Centro Coordinamento
Soccorsi di Malta a verificare le condizioni di
galleggiabilità del peschereccio alla deriva
con 480
persone a bordo, tra cui 100 bambini.
La temerarietà
dell'allora Tenente di Vascello Catia
Pellegrino sta proprio qui:
nel
sostenere con il sorriso sotto gli stucchi del
Quirinale, il tempio
laico dello Stato, una versione
che non corrisponde alla verità.
Tanto che la sua
risposta all'intervista TV dopo aver
incontrato il Presidente Mattarella risuona curiosa
come un lapsus:
'Contrariamente a quanto molti sanno',
dice lei.
Cos'è che molti
sanno e non ci dicono?
Li credevamo eroi
del mare.
Il film diventa invece il ritratto dell'Italia
contemporanea.
Dove anche quanto sembra buono si rivela
all'improvviso una patacca.
Ecco:
la fuga di questi
Ufficiali dal dovere della verità
continua anche
oggi.
Rassicurati dal silenzio dello Stato
Maggiore della
Marina che, di
fronte a 268 morti, quasi tutti dispersi
in acqua, ha fornito versioni non vere al Parlamento
credendo coś di
"salvaguardare la forza armata e
l'onore", come hanno scritto in un recente
comunicato.
Sono risposte che
ricordano il muro di gomma
dell'Aeronautica Militare ai segreti
della strage di
Ustica.
Abbiamo girato ore di immagini in Svezia e
in
Germania.
Ma alla fine la lente delle nostre telecamere tornava a
inquadrare il Mediterraneo, il
centro dell'orrore.
Sempre ĺ, davanti alla stessa domanda che i papà
del film rivolgono agli Ufficiali della Marina Italiana:
"Perché avete
lasciato morire i nostri bambini?"
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