Miti culturali, sociali e storici del "diverso" contribuiscono nel
tempo a costruire lo
stereotipo del comportamento "pericoloso", vale a dire non allineato
con quelli imposti
in società
conservativo-oppressive
- dal rifiuto di sottomissione all'aperta ribellione
contro negati ruoli nella società - un continuo detrattare pensiero, mente e vita
dei
"devianti".
Loro la continua lotta per
realizzare un'altra visione, di sé stessi, del mondo, di sé stessi
nel mondo, sul piano
culturale, storico e scientifico contro cementati archetipi, per
tornare
all'origine della propria storia di
"sale della terra",
per ricostruire insieme una
manipolata e
spesso cancellata autocoscienza
collettiva.
Diversità, libertà ed equità - l'inclusività unica salvezza!
Essere uguali significa avere gli stessi diritti di vivere,
rispettati e liberi di esprimere il
proprio pensiero e cercare a proprio modo la propria felicità, perché
"tutti gli esseri
umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti" (Dichiarazione
universale dei diritti
umani, 1948).
Ma uguaglianza non è "omologazione" o assenza di differenze,
piuttosto "equità" che
garantisce a tutti le stesse opportunità nonostante particolarità,
differenze e carenze,
quindi se uguaglianza focalizza su stessi diritti e doveri, equità sottolinea
le opportunità
date pervalorizzare in questo le differenze, considerando la diversità un
valore
fondamentale
di arricchimento sociale.
Paradossalmente infatti come in natura anche nella società, le
diversità - caratteristiche
personali di predisposizioni fisiche e intellettive, pensiero,
attitudini, capacità, talenti,
gusti - costituiscono la più evidente dimostrazione dell'essere
tutti individui, "persona",
segno evidente che l'uguaglianza di noi umani vive nella
incoraggiata libera
espressione delle
nostre rispettive differenze.
Purtroppo diversità date per scontate spesso scontate non sono o lo
sono soltanto
formalmente e non ancora culturalmente, diversità che la società non
sempre accoglie
nel suo incompleto percorso di inclusione.
Negare che essere diversi è un valore porta inesorabilmente
all'oppressione della
diversità, la storia dei secoli scorsi lo insegna con società
"unidirezionali" e "chiuse",
mai riuscite ad accettare e accogliere le differenze proprie
dell'essere umano in quanto
tale.
Condannare ogni forma di discriminazione e tutelare i "diversi" è
diritto-dovere di
ciascuno, visione empatica di crescita personale, evolverci
imparando dall'altro, cosa
che in una società di "omologati" ci verrebbe sottratta.
Lasciare la propria zona di comfort, punti di vista, usanze e
abitudini giudicati "normali"
o addirittura "i migliori" solo perché i più diffusi tra chi
frequentiamo, significa vedere il
mondo nella sua interezza, accettare il confronto con chi la pensa
diversamente da noi,
mettersi in discussione, ciascuno convinto del proprio proprio senza
per questo dover
etichettare come "stranezza" o "follia" tradizioni, concetti e
pensieri altrui.
Non occorre prendere istintivamente le distanze né allontanarci
"spaventati" da
differenze fisiche o psicologiche, religioni o orientamenti sessuali
differenti dai nostri,
perché la realtà sta giusto dimostrandoci il contrario, differenze come punto di forza,
àncora culturale nei rispettivi contesti, ricchezza di varietà
naturale e sociale.
Un confronto non deve necessariamente essere vissuto come uno
scontro, quanto
piuttosto occasione di incontro e scambievole arricchimento fra
diversi, per geografia,
etnia, cultura, storia, genere, orientamento di pensiero
e sessuale, tutti indistintamente
punti di forza per coloro a cui appartengono, la
loro identità individuale
e di gruppo.
Perché la diversità di ciascuno si nutre del valore della diversità
degli altri, aprirci al
confronto curioso, costruttivo, accogliente e includente con chi è
diverso da noi ci fa
apprezzare altri punti di vista e altri modi di "essere umani", ci
fa vedere più lontano e
ci guida alla scoperta dell'ancora non conosciuto valorizzando la
profondità e l'unicità di
ogni individuo inclusi noi stessi: a che servirebbe altrimenti la
nostra identità se non a
"distinguerci senza separarci" - ciascuno sé stesso, noi tutti
insieme?
Dunque
"uguaglianza" ed
"equità" non coincidono, non sono sinonimi come qualcuno
vorrebe farci credere, perché la prima è una parità che rimane
"formale", mentre la
seconda rende la parità "sostanziale", come all'Articolo 3 della
nostra Costituzione
Repubblicana:
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali
davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione
politica, economica e sociale del Paese".
L'"uguaglianza formale" ci
teorizza uguali davanti alla legge, tutti trattati "allo stesso
modo" senza tener conto né delle nostre differenze soggettive né dei
nostri rispettivi
contesti, questo portando inevitabilemte a "sostanziale
disugualianza", l'"equità" al
contrario è proprio dare a tutti le stesse pratiche possibilità, le
risorse e i mezzi di cui
ciascuno necessita in base alle proprie esigenze e difficoltà.
Viviamo in una società che dice di volerci tutti uguali ma senza
vederci l'uno diverso
dall'altro, insegnandoci a reprimere fin da piccoli la nostra
unicità, plasmandoci invece
di guidarci e supportarci nella crescita personale e interiore,
creando contestualmente
al meglio una "collettività" dove il "diverso" non è considerato
risorsa da includere, ma
da deviazione da temere.
È proprio l'essere diverso a rendere ciascuno importante, un
"patrimonio irripetibile
per la comunità".
L'omologazione condanna a stagnazione in uno status quo, la
dialettica ci porta oltre:
senza diversità non è possibile evoluzione, né naturale né sociale!
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