Rivoluzione
Dal Latino revolutio
rivolgimento da revolvĕre rovesciare, un
cambiamento radicale della società,
industriale, tecnologico o
culturale, come auspicato dagli
illuministi nel XVIII secolo, in
filosofia politica l'"ideale di
libertà" nella sua realizzazione storica
ispirato da motivazioni ideologiche.
Il concetto non cambia se considerata
uno specifico e irripetibile
fenomeno storico o un modello
universale di nuovi ordinamenti,
una rivoluzione "silenziosa", o
rovesciamenti di obsoleta legalità,
rivoluzioni "rumorose", sia la
sovversione di regole parziale o
totale.
Ma la rivoluzione politica non è
"colpo di Stato", la prima cresce
dal basso mentre il secondo viene
imposto dall'alto, e neppure
una "rivolta" che non va oltre
l'azione immediata, nella visione
marxista addirittura tema centrale
della storia, come processo di
emancipazione sociale contro il
mantenimento di vecchi sistemi di
produzione e distribuzione del
ricavato economico.
Quindi non una conquista del potere
fine a sé stessa ma l'inizio di
un nuovo ordine politico, economico e
sociale, una teoria formata
dai contributi di quasi tutte le
correnti del pensiero politico, la
liberale, la democratica, la
socialista, l'anarchica e la comunista,
divergenti però i loro rispettivi obiettivi
politici.
Qualunque la radice di pensiero,
quasi tutte le teorie della
rivoluzione
condividono
due principi fondamentali:
-
il "diritto di resistenza",
che
impone al popolo di ribellarsi
ad autorità politiche e sociali che
operino con evidente e
intollerabile ingiustizia
(disobbedienza civile)
-
la "guerra giusta",
che
legittima il popolo a ricorrere anche
alla
violenza
se necessaria a correggere tale
ingiustizia, però non
condiviso dai pacifisti
(non-violenza, "arma dei deboli" o "potere
popolare", ad esempio l'ahimsa
induista). |